Pensare ai ghiacciai come attori di un mondo che abitiamo in comune
Nel 1944, mentre la seconda guerra mondiale infuriava e brutalizzava il mondo, Aldo Leopold si poneva la questione dell’« etica del territorio ». Di fronte a un umanesimo spezzato e ambienti naturali devastati, questo ingegnere forestale americano ci spinge ad assumere un punto di vista montano per cambiare interiormente e darci i mezzi per migliorare il mondo. E se le nostre esistenze fossero mescolate a quelle di altri esseri viventi ed entità in movimento? E se insieme formassero una rete che tende verso un futuro comune? E se gli esseri umani, gli animali, le montagne, le foreste, i fiumi, i ghiacciai e le praterie condividessero più di un semplice rapporto utilitaristico? E se coesistessero al di là o al di sotto di forme ristrette di calcolo dei valori economici che noi, esseri umani della modernità industriale, abbiamo assegnato loro? Queste sono le domande che hanno animato il precursore del pensiero ecologico più di mezzo secolo fa; queste sono le domande che ci poniamo noi oggi.
La nostra storia parla di un ghiacciaio. Un ghiacciaio che domina una profonda valle delle Hautes Alpes, ai piedi della Meije, nel cantone di La Grave. Un ghiacciaio sul quale una società imprenditoriale ha deciso di realizzare un terzo tratto di funivia, raggiungendo quota 3.600 metri, diventando così il degno concorrente dell’Aiguille du Midi di Chamonix. Questa infrastruttura permetterebbe di continuare con lo sci nel periodo estivo, attività totalmente obsoleta nell’era del cambiamento climatico! E in futuro aprirebbe anche la possibilità di creare un altro super comprensorio sciistico, collegando eventualmente le località dell’Alpe d’Huez, Les Deux Alpes e La Grave.
Far coesistere professioni e pratiche
Quest’ultima si distingue proprio perché è tutt’altro che una classica stazione sciistica, ma un comprensorio votato al freeride, che privilegia l’autonomia dei praticanti impegnati in un ambiente ancora selvaggio, ai margini del Parco Nazionale degli Ecrins. Di fronte a questo progetto dantesco, ai milioni di euro di investimenti e alla mancanza di coinvolgimento del pubblico, si è formato un comitato di cittadini. Si propone di fare la scelta di non costruire un terzo troncone, di rimuovere tutte le infrastrutture obsolete già esistenti sul ghiacciaio per creare nuove forme di relazione con questo ambiente naturale minacciato.
Queste forme devono essere in grado di coniugare sci alpino e pratiche alpinistiche, studio scientifico del ghiacciaio e educazione alle tematiche ecologiche e climatiche per le quali i delicati ambienti alpini rappresentano, in Europa, delle avanguardie. Ma dobbiamo anche pensare al territorio alla base del ghiacciaio, e chiederci come far coesistere la pluralità di pratiche e mestieri qui esistenti, dalla pastorizia all’agricoltura di montagna, dall’artigianato all’istruzione, dalle imprese alle attività di ricerca, in un dialogo che produce risposte alternative a un turismo prettamente meccanizzato.
La domanda posta oggi dal comitato su questo piccolo angolo delle Alpi francesi e sugli sviluppi pianificati per esso va oltre la posta in gioco di una semplice località: dopo due lockdown successivi, quando le nostre vite si ritrovano in un momento pieno di incertezze che interessano tutte le aree del nostro quotidiano, è il momento giusto per tornare a quella montagna e a quel ghiacciaio, che da millenni dominano le nostre valli, per continuare a salire, sempre più velocemente, sempre più in alto, più forte, alla ricerca di quella “risorsa”, che potrebbe resistere ancora solo per qualche decennio?
Oppure è il momento di fare un passo indietro, di porsi tutti la domanda su cosa sia un ghiacciaio morente e di chiedersi come la sua morte annunciata entri in risonanza con il modo in cui la nostra modernità estrattivista si sta visibilmente disgregando, cercando di opporre resistenza a un virus che è riuscito a mettere in crisi la nostra idea di sicurezza in pochi mesi? In Islanda, il glaciologo Oddur Sigurdsson ha detto alla comunità scientifica nel 2014 che il ghiacciaio Okjökull avrebbe dovuto essere smantellato perché si era trasformato in « ghiaccio morto » a causa del riscaldamento globale; la terminologia « ghiaccio morto » dovrebbe metterci in allerta.
L'umanità alla ricerca di un significato
Noi occidentali siamo abituati a pensare ai ghiacciai come elementi inanimati che fanno parte del nostro « ambiente naturale », piuttosto che come attori a pieno titolo in un mondo che condividiamo insieme a loro. Forse è questa l’idea che dobbiamo cominciare a perseguire per tessere la trama di un’altra possibile storia.
Un cambiamento di direzione grazie alle popolazioni indigene che da migliaia di anni vivono quotidianamente in simbiosi con montagne e ghiacciai può aiutarci a riformulare il problema. Per queste comunità non c’è contraddizione tra il fatto di considerarli come entità viventi verso cui gli esseri umani hanno determinati « doveri di dialogo », e la necessità di trasferirsi lì, e/o di sfruttare l’acqua che offrono a chi vive nelle vicinanze.
I Qeros delle Ande peruviane rivolgono a loro dei rituali per garantire l’equilibrio delle stagioni e del clima; gli Athapaskan dello Yukon e dell’Alaska li vedono come entità che ascoltano ciò che dicono gli umani e rispondono alle loro azioni a modo loro; gli Even di Kamchatka li considerano il luogo di transito delle anime dei morti e dei non-nati; la calotta glaciale del grande nord americano e canadese prende il nome, in molte lingue native, de « il luogo dove ha inizio tutta la vita », nonostante l’impressione fuorviante di « vuoto » che afferra lo spettatore esterno mentre osserva la banchisa. In Nuova Zelanda, i Maori, custodi di un rapporto pressoché simile con il mondo, sono riusciti addirittura a trasformare lo status giuridico del Monte Taranaki nel 2017, dichiarato ufficialmente « soggetto di diritto », pochi mesi dopo il fiume Whanganui. Grazie alle battaglie dei loro portavoce, i Taranaki Iwi, tribù che prende il nome proprio da questo vulcano e che lo considera il proprio antenato, questi ambienti naturali sfuggono finalmente alla morsa di certi umani che si arrogano diritti imprenditoriali esclusivi.
E noi qui? È così difficile cambiare focalizzazione per relazionarsi con le montagne e vederle come qualcosa di diverso dai semplici campi da gioco e dall’estasi sviluppata per un’umanità esausta bisognosa di svago? Le pratiche che potrebbero essere messe in campo non sarebbero infinitamente più varie se decidessimo di distinguere il paesaggio unico e l’ambiente ricreativo, stabilendo l’idea di una montagna estranea alle tribolazioni degli esseri che la frequentano? È così difficile tornare sui nostri passi, e mettere in pratica forme ereditate dalla rivoluzione industriale, proprio quella che, rafforzata dall’abitudine, dalla pigrizia e dal consumo, ci fa credere fermamente che c’è una natura esterna, che noi, come moderno « homo economicus », dovremmo sfruttare fino a quando non ne rimarrà più nulla, tutto a causa dei nostri imperativi dettati da una gestione a scopo di lucro?
Dare voce agli abitanti
Senti anche tu una certa tristezza, quando ti viene spiegato che l’economia delle valli montane dipende solo da uno sviluppo turistico concreto e meccanizzato e dallo sfruttamento delle « risorse » naturali che l’uomo ha a disposizione ancora per pochissimo tempo? Se è così, allora anche tu, ovunque tu sia, dubiti, chiedendoti cosa abbiamo fatto del mondo che ha fatto fronte alla nostra esistenza. Possibile che uscendo da un’emergenza sanitaria il la speculazione, come sempre, abbia la precedenza sui sani principi, massicciamente risorti in noi mentre eravamo rinchiusi tra le quattro mura di casa? Dimostreremo ancora una volta ai nostri ambienti naturali la nostra incapacità di reinventarci per affrontare ciò che verrà? È questa la nostra risposta collettiva all’emergere di una diffusa incertezza nelle nostre vite?
All’interno del comitato La Grave Autrement, pensiamo che molti di noi vogliano cambiare il mondo: molti di noi vorrebbero vedere le comunità prendere nuove misure per decidere di sperimentare altre forme di relazione con le entità che abitano i nostri ambienti. « Stiamo tutti lottando per la sicurezza, la prosperità, il comfort, la longevità e la noia » scrive Leopold per chiudere il suo capitolo. Non è forse arrivato il momento di lottare per un ecosistema in cui le grandi multinazionali che lo governano non abbiano più l’ultima parola? Per ridare voce agli abitanti e alle loro forme di vita, che con le loro azioni cercano di variare il pensiero dominante?
Siamo tutti attori nei nostri mondi: esseri umani con le loro diverse attività, animali con i loro comportamenti specifici, montagne, fiumi e ghiacciai con le loro masse instabili e in movimento. Opporsi a progetti di sviluppo che non hanno più senso significa prima di tutto riconoscere questa pluralità di attori che agiscono a diverse scale e i cui rapporti devono tornare ad essere decisivi.
Al Comitato La Grave Autrement, non stiamo dicendo di sapere cosa significa pensare come un ghiacciaio. Non siamo sicuri, dubitiamo, ci poniamo domande. Vogliamo provare. Fare dei passi verso di lui che non siano tralicci e cavi, passi a misura d’uomo, piccoli passi in cordata su un gigante di ghiaccio il cui abisso affascina e terrorizza allo stesso tempo.
Decidiamo di smetterla di inseguire i suoi resti e di rendere omaggio a ciò che ha ispirato in noi. Decidiamo di prenderci cura di lui, di camminare con lui verso i suoi ultimi giorni perché questa potrebbe essere la nostra ultima occasione per capire di cosa è fatto e cosa ci offre. Di fronte al campo di rovine causato dall’estremo e continuo riassetto delle nostre vite, crediamo che sia possibile tessere la trama di un’altra storia, che ha per protagonisti tutti quegli esseri viventi, appartenenti a un particolare ambiente naturale, diversi tra loro, animati e inanimati, semoventi e congelati, ma tutti attori dello stesso mondo.
Voi tutti siete invitati a rispondere a questa chiamata. Scienziati, atleti famosi, politici, diciamo insieme che in questo angolino di terra che è La Grave, un altro modello di sviluppo è possibile. Chiediamo alla società concessionaria della funivia e al comune di La Grave di abbandonare il progetto del terzo tratto e di avviare con il Comitato, tutti gli abitanti e tutti gli interessati, lo studio di un altro progetto che rispetti e valorizzi il ghiacciaio delle Girose.